Pristina, Kosovo. 14 giugno 2025.
Lungo il corso George Bush, nel pieno centro della capitale, il tardo pomeriggio rimbomba di bassi ritmici. La Biblioteca Nazionale riflette i colori arcobaleno, mentre le scale ai suoi piedi si animano a ritmo di musica per il nono anno consecutivo. Finalmente, nel 2025, il Pride a Pristina è diventato anche una festa, non più solo un urlo rabbioso che chiede libertà per ciò che si è.
Decine di poliziotti accerchiano lo spiazzo, ma oggi – come già dal 2023 – anche il governo di Vjosa Osmani-Sadriu, la presidente della Repubblica, appoggia ufficialmente l’evento.
La strada per il riconoscimento delle persone LGBTQ+ in Kosovo è ancora lunga. Il 29% subisce violenze fisiche in famiglia, l’80% abusi psicologici. Nonostante le forti influenze islamiche e una società profondamente patriarcale, però, il piccolo paese ha compiuto più progressi di molti altri nei Balcani occidentali.
Qual è allora oggi la situazione in questi paesi, dove etnie e religioni si mescolano e cambiano nel giro di pochi chilometri?
SLOVENIA
Oltre a essere stato il primo paese a dichiararsi indipendente dall’ex-Jugoslavia, il piccolo vicino dell’Italia è stato anche il primo a organizzare un Pride. La prima edizione risale al 2001. Oggi i partecipanti sono migliaia, l’evento si svolge anche a Maribor e Koper, l’Adidas è sponsor e Lubiana è senza dubbio la città più gay-friendly di tutti i Balcani.
Oltre alle unioni civili, dal 2022 è legale anche il matrimonio egualitario.
CROAZIA
A Zagabria il Pride ha debuttato appena un anno dopo Lubiana, nel 2002. Qui, però, le cose non sono decollate con lo stesso slancio: al primo tentativo ci furono violenti attacchi ai partecipanti.
Gli anni successivi non sono stati più facili. In particolare nel 2007, quando il corteo di Zagabria fu attaccato con molotov e si contarono 14 arresti. E ancora nel 2011 a Spalato, dove la manifestazione venne interrotta perché una folla iniziò a lanciare sassi contro i manifestanti. Diversi politici locali sostennero la “libertà di protesta” di chi voleva difendere le tradizioni.
Dal 2014 sono legali le unioni civili e dal 2024 anche il matrimonio.
BOSNIA ED ERZEGOVINA
La gemma verde dei Balcani occidentali è l’ultimo paese della regione ad aver ospitato un Pride.
La prima edizione risale solo al 2019, un momento storico per il paese: circa duemila partecipanti nonostante il 72% della popolazione si dichiarasse contrario all’evento.
Già nel 2008 a Sarajevo era stato organizzato il Queer Sarajevo Festival, annullato dopo violenze da parte di gruppi ultras e estremisti wahabiti (corrente teologica dell’Islam sunnita).
Sebbene l’omosessualità sia depenalizzata dal 1998, il governo ancora oggi non appoggia il Pride.
La situazione è ancor più difficile nei territori serbi della Repubblica Srpska, con capitale Banja Luka, dove l’influenza della chiesa ortodossa serba complica ulteriormente le cose.
SERBIA
Dopo il fallito tentativo del 2001, bloccato dall’attacco di estremisti prima dell’inizio, bisogna attendere il 2010 per il primo Pride serbo.
A Belgrado sfila un corteo di circa 500 persone, ma la manifestazione degenera rapidamente in scontri violenti tra hooligan e polizia. Nonostante lo schieramento di oltre 5000 agenti, si contano centinaia di feriti. La marcia dura appena 15 minuti, ma per la Serbia rappresenta già un successo.
Le edizioni del 2011 e 2012 vengono vietate per motivi di sicurezza. Solo nel 2014, con un imponente dispiegamento di forze dell’ordine, si riesce a realizzare un Pride senza incidenti.
Il forte nazionalismo, la vicinanza politica alla Russia e l’opposizione della chiesa ortodossa rendono la situazione ancora oggi molto complessa.
Nel 2023 l’86% delle persone LGBTQ+ nascondeva il proprio orientamento sul lavoro. Il 73% dei serbi rifiuterebbe un figlio LGBTQ+, mentre l’80% si oppone ai Pride.
Nello stesso anno si registrano 85 crimini d’odio, quasi tutti rimasti impuniti.
MONTENEGRO
Il primo Pride montenegrino si tiene nel 2013 a Budva, ma viene ricordato più per le violenze che per altro. La partecipazione è scarsa e gli scontri con gruppi conservatori e hooligan portano a 60 arresti.
Storicamente omofobo per l’influenza della chiesa ortodossa serba, nel 2013 il 71% della popolazione considerava ancora l’omosessualità una malattia.
Nel 2014, al Pride di Podgorica, i manifestanti vengono nuovamente presi di mira con pietre e bottiglie.
La battaglia dà i suoi frutti nel 2021 con l’approvazione delle unioni civili.
Nel 2023 circa il 55% della popolazione sostiene il Pride, ma una persona LGBTQ+ su due denuncia ancora violazioni dei propri diritti. Non aiutano le dichiarazioni del Fronte Democratico e di alcuni leader religiosi, che definiscono il Pride “una minaccia ai valori cristiani”.
Tra i Balcani occidentali, il Montenegro resta l’unico paese non UE ad aver legalizzato le unioni civili.
ALBANIA
“I partecipanti dovrebbero essere presi a manganellate”. Con queste parole, nel 2015, il vice ministro della difesa Ekrem Spahiu commenta il primo Pride albanese a Tirana.
Già nel 2010 l’Albania aveva approvato una delle leggi anti-discriminazione più avanzate dei Balcani, includendo orientamento sessuale e identità di genere, ma senza riconoscere le unioni same-sex.
Tuttavia, questi progressi legislativi hanno cambiato poco la realtà. Nel 2023, su 412 discriminazioni segnalate, solo 5 arrivano alle autorità.
I dati del 2024 restano allarmanti: il 73% degli albanesi rifiuta il matrimonio egualitario, il 64% non accetterebbe un figlio LGBTQ+, mentre il 30% della comunità denuncia violenze fisiche e psicologiche.
Fuori dalla capitale mancano spazi sicuri, e persistono discriminazioni in sanità, scuola e lavoro – specie per le persone trans. L’80% nasconde la propria identità professionale.
Politici come Adriatik Lapaj, fondatore 36enne del partito LSHB, alimentano la tensione definendo le famiglie LGBTQ+ “un attacco alla tradizione”.
MACEDONIA DEL NORD
Il primo tentativo di Pride a Skopje avvenne nel 2013, ma saltò per minacce. Ci vollero altri sei anni per riuscire. La situazione nella piccola repubblica nel sud dei Balcani è sempre stata e rimane molto complessa. Tra il 2006 e il 2017, con il paese sotto il governo conservatore VMRO-DPMNE, attivisti LGBTQ+ subirono molte violenze. Il loro centro a Skopje, specialmente tra il 2012 e il 2014, viene ripetutamente attaccato con svastiche e tentativi di incendio.
Nel 2023 la situazione migliora, nonostante il governo consideri ancora il Pride “una minaccia ai valori tradizionali”.
Finalmente l’edizione del 2025 riceve un sostegno ufficiale da parte dell’attuale sindaco di Skopje, Danela Arsovska.
La realtà nei Balcani occidentali è quindi oggi ancora molto complessa. Il matrimonio egualitario esiste solo in Slovenia e Croazia, unici membri UE. Le unioni civili, oltre che nei due già citati, sono legali solo in Montenegro.
Per le persone trans è ancora peggio: solo il Montenegro discute l’autodeterminazione di genere (2025), mentre altrove serve la sterilizzazione forzata.
I principali ostacoli sono i nazionalismi, ancora forti e profondi tra le popolazioni, e le religioni.
Molti giovani LGBTQ+ si uniscono alla “fuga dei cervelli” che affligge gravemente la regione.
Una speranza viene invece dalla volontà di aderire all’UE, i cui requisiti includono standard sull’uguaglianza di genere, e che potrebbe spingere alcuni partiti politici a sostenere maggiormente la causa.
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