Brevi Storie

Sarajevo Anarchica (Bosnia ed Hezergovina)

Il sole batte a picco lungo la linea del tram. Pochi passi e uno sguardo ci trascina in un gruppetto di persone. “Bonjour! Parlate italiano?” Due occhi azzurri e una ferita sulla fronte. Una bicicletta che potrebbe essere una roulotte, un albero e alcune vecchie signore.
Zoran in un attimo è già parte di noi. In contromano ci accompagna lungo lo stradone che conduce al mercato. Pelapatate, grattugie, fumi di salsicce, sacchetti volanti e cani randagi. Nel movimento di una giornata che per alcuni è appena iniziata, il viavai dei venditori è già verso la fine.
Il fiume Miljacka scorre a pochi metri da noi, scivola via come la vita. Anni in Ciociaria, un’ex moglie trentina, dieci lingue parlate. Da un momento all’altro un buon italiano si trasforma in tedesco, nel mezzo diventa inglese. C’è una parola per tutti, senza confine, senza età.
La bicicletta di Zoran ci fa chiedere se sia una casa, o la sola compagna di qualche avventura. D’altronde, dai racconti elettrici snocciolati in un lungo elenco di luoghi, viene facile immaginarsi un susseguirsi di vite diverse. Un goccio di rakija, un amore latino, un hippie trovato per strada e chiamato fratello per qualche mese.
“Om Narasimhaya, datemi 3 euro, facciamo un brindisi”.
Sul retro della bicicletta c’è una cassa di plastica. Dalle mani che ci si infilano, quello che esce è un’accozzaglia di sorprese. Il cilindro di un mago. Un pacchetto di fiammiferi con dentro delle pile, uno specchio rotondo crepato da un lato, una Coca-Cola, una vecchia bottiglia da grappa con scritto “Jugoslavia”. Ogni cosa è un possibile regalo. Ogni pensiero una storia da raccontare.
“Avevo due euro in tasca… sono vagabondo dall’87. Ma nel 2002 ero in Italia, e nel 2010 di nuovo. Ho sposato Carmen”.
Le rughe sotto gli occhi parlano per i 55 anni. Durante la guerra, forse non ricorda bene nemmeno in quale parte del mondo fosse, forse a insegnarci che non esiste nome che possa definire una terra. Le regole sono fatte in casa. Le decide il sole quando sorge, il fumo delle sigarette le mimetizza tra la nebbia del futuro, il presente è l’unico tempo che esiste.
Zoran, vagabondo.
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A pochi metri c’è chi del tempo fa uno spazio. Sferraglie varie, vestiti come coriandoli portati dal vento, un po’ d’ombra tra la folla e il carbone. Tra le bancarelle la trovi cercando il fumo. Il segnale è chiaro, il servizio non richiede domande, se non una sola e unica scelta: 5 ćevapi, 5 marchi. 10 per 8. Il caffè ha il fondo, richiede lo stesso tempo per depositarsi che solitamente serve per dimenticarsi del perché. Ed è un’ottima lezione.
Cipolla cruda. Pane rigonfio e sbruciacchiato. Avanti il prossimo, oggi come ieri, domani come nell’eterno. A parte questo, qui non c’è nemmeno la rakija, ed è straordinario.
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La notte viene sempre suonata da qualcuno. Un direttore d’orchestra che tiene a bada gli stonati, modera il silenzio, giostra il ritmo degli umori. “Questi li offrono loro”. La storia si ripete. “Finché qua ci sono io, voi prendete”.
Il tema cade sempre lì. Dov’è la libertà? Dove andiamo per cercarla? Chi siamo per viverla? Forse non sappiamo più dove abbiamo iniziato, non ricordiamo di certo dove siamo finiti. Si apre la porta, bisogna cambiare aria. Le sigarette riempiono lo spazio più delle parole certe volte, anche se l’accoglienza è calda. La gola brucia, confusa lei stessa dalla causa.
Sarajevo, dicono, tarpa le ali. Che la libertà se ne vada con le storie che si hanno da raccontare, quando i propri compagni negli anni addietro si chiamavano Sex Pistols e Clash.
Così ci dice Zlaj, o Joe per lui. La piccola fiamma che darà piacere al proprio distillato si accende con ritmo costante a illuminarne il viso. Tempo addietro, dallo stesso fuoco, quando bruciò la libreria di Sarajevo, aveva salvato i libri. Direttore del teatro, amante della notte.
A.
E basta, come quello in cui credono.
“Cerco solo l’atmosfera. Non è importante sapere cosa fate, chi siete, da dove venite. Conoscete Amarcord?”
“Sei troppo profondo Zlaj, sei già in un film”.
Nella notte di Sarajevo i vecchi anarchici respirano, ritrovano la luce che mostra le vie più profonde. La speranza è di trovare l’attenzione di chi capisce. Chissà se domani sapranno di esserci riusciti.
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