Storie Approfondite

Tuzla, la città immersa nel latte (Bosnia ed Hezergovina)

Pietre e molotov, piove nel cuore della Bosnia industriale. Il palazzo della Sodaso, centro della corruzione e luogo simbolo della crisi, brucia. È il 7 febbraio 2014. Tuzla, città emblema dell’industria del Paese, è da due giorni in rivolta. È l’esplosione di una sofferenza che dura da anni, finalmente divampa la rabbia che da tempo era nascosta sotto le ceneri di una crisi oscura.

Il crollo dell’industria jugoslava, e poi bosniaca, ha inizio a metà degli anni Ottanta. Il declino procede di pari passo con quello della Repubblica e subisce un colpo durissimo durante il triennio della guerra, dal 1992 al 1995. Dopo gli accordi di Dayton nel 1995, inizia una privatizzazione selvaggia: aziende fantasma e grandi oligarchi si impossessano delle imprese statali. I soldi, però, iniziano a sparire in un sistema di corruzione dalle radici profonde.

Tra il 2000 e il 2010, il settore industriale perde circa l’80% della sua forza lavoro. Le grandi aziende smettono di pagare gli stipendi. Gli operai che raggiungono la pensione scoprono che i contributi non sono mai stati versati, e si ritrovano senza risparmi, senza energia per lavorare e senza un soldo per coprirsi negli anni che gli restano. La tensione cresce. Solo a Tuzla, più di 10.000 operai lavorano senza ricevere lo stipendio. Il tasso di disoccupazione supera il 50%. Il 5 febbraio 2014, oltre 5.000 operai delle principali aziende della città – Poliolem, Dita, Konjuh – marciano verso il centro. Inizialmente chiedono i salari non pagati e la fine delle privatizzazioni corrotte. La risposta, però, è violenta: la polizia carica e ci sono i primi arresti.

Agli operai si uniscono presto disoccupati e studenti. Il 6 febbraio è il municipio a essere assediato. Il 7 tocca alla Sodaso, la società per la privatizzazione del cantone di Tuzla, simbolo del tradimento delle élite post-jugoslave. È il culmine delle proteste. Da Tuzla si espandono in tutto il Paese: da Sarajevo a Zenica, da Mostar a Banja Luka. La Bosnia è in rivolta.

 Oggi la situazione dell’industria bosniaca ha avuto un piccolo miglioramento, per lo meno per quanto riguarda i salari. Rimane però dietro di sé un incubo silenzioso, che a Tuzla entra come un bisturi nella vita delle persone. L’inquinamento atmosferico di Tuzla è paragonabile a quello delle peggiori megalopoli industriali e minerarie del mondo, superando spesso città come Pechino o Delhi nei picchi invernali. Durante l’inverno supera di oltre 10 volte i limiti delle linee guida dell’OMS per le polveri sottili (fonte IQAir). A questo si aggiunge l’inquinamento del suolo e dell’acqua. Le cause principali derivano dalla crisi industriale. Grandi aziende fallite hanno abbandonato tutto così com’era da un giorno all’altro. Mercurio, piombo e arsenico, così come PCB e diossina, sono rimasti incontrollati e liberi di disperdersi nell’ambiente. Le fabbriche ancora in funzione non vengono rinnovate dagli anni ’80, avendo filtri e impianti non all’avanguardia che funzionano male e in maniera estremamente pericolosa per la salute.

La centrale termoelettrica, la più grande attiva in Bosnia nonché produttrice della maggior parte della sua energia, continua a utilizzare lignite, un carbone di bassa qualità. Tutto questo avviene tra le case delle persone. La zona industriale e la centrale termoelettrica sono infatti alle porte della città, e le loro emissioni si diffondono nelle zone residenziali.

“Mia figlia è malata ai polmoni da quando ha tre anni. Abbiamo un filtro per l’aria che rende la sua vita migliore, ma tra quello e le cure spendiamo un quarto del nostro stipendio. È impressionante vedere quando lo compri: nuovo è blu, nel giro di poche settimane diventa nero. Nelle strade del mio quartiere, in ogni singola casa, almeno una persona è morta di cancro.”

Tra il 35% e il 40% dei bambini con meno di 12 anni soffre di asma e problemi polmonari. I tassi di cancro superano abbondantemente la media nazionale, con picchi del 38% per quello ai polmoni. Si stima che ci siano ogni anno tra le 500 e le 700 morti premature dovute all’inquinamento, in una città di circa 100.000 abitanti.

“Ci sono delle giornate in cui tra i fumi e la nebbia delle fabbriche fuori è tutto bianco. È talmente denso che sembra di essere immersi in un bicchiere di latte.”

 

  • Tuzla è storicamente la città anti-nazionalista dell’ex Jugoslavia. Un luogo unico dove serbi (per lo più ortodossi), bosgnacchi (musulmani) e croati (cattolici) vivono senza enfatizzare le differenze etniche e religiose. Nelle famiglie si festeggia tutto: Bajram, Natale, Pasqua ortodossa. “Siamo un misto di credenze e culture diverse, e non ci importa quali siano. Festeggiamo le feste di tutti.”
  • Anche quando la guerra tentava di spaccare la Bosnia lungo linee etniche, la fabbrica Dita rimase un luogo dove serbi, bosgnacchi e croati continuavano a chiamarsi semplicemente “colleghi”. Mentre fuori infuriavano gli scontri, dentro quei cancelli si lavorava ancora insieme: i chimici serbi controllavano i serbatoi accanto agli operai musulmani, i macchinisti croati riparavano le condotte senza chiedersi chi fosse chi.

IMMAGINI

1 – La centrale Termoelettrica

2 – Zone residenziali

3 – Il palazzo della Sodaso

4 – La centrale Termoelettrica

5 – La moschea Atik Behram Bey, la più antica della città

6 – L’edificio della Dita

7 – I fumi della centrale termoelettrica si vedono anche da decine di chilometri di distanza

8 – Il cimitero di Tuzla

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